Il Megalodonte, Godzilla, King Kong e l’amore eterno del cinema per i mostri giganti

di Alessandro “DocManhattan” Apreda

Milioni di foto balneari supersature e a mollo nell’HDR, e tante pubblicità sexy degli abbronzanti non ci hanno mai convinto del tutto: il mare è un posto pericoloso, anche quando piattissimo. È da lì, nella maggior parte dei casi, che vengono i mostri, che si tratti di kaiju, di divinità antiche come Cthulhu o di squali bianchi la cui dieta equilibrata si basa su surfisti e bagnanti in bikini urlanti. SHARK – IL PRIMO SQUALO di Jon Turteltaub ha alzato quest’anno la posta, sostituendo gli squali con qualcosa di ancora più terrificante: un loro enorme predecessore, il megalodonte.

Megalodonte, “grande dente”. Bestiolina in grado di cibarsi persino delle balene, tanto era feroce e, beh, gigantesco. Due milioni e mezzo di anni più tardi, l’horror fantascientifico di Turteltaub, tratto dal romanzo MEG: A Novel of Deep Terror di Steve Alten, trasforma quella macchina di morte preistorica in una macchina da soldi al botteghino.

Shark   Il primo Squalo_foto dal film 10

Una pellicola da mezzo miliardo di dollari incassati grazie a una classica storia di mostri giganti, un fortunato filone cinematografico nato quasi un secolo fa, agli albori della settima arte, e oggi galvanizzato più che mai dai prodigi della CGI. Quando per far vivere un po’ di inquietudine da pop corn al pubblico non ti servono dei pupazzi meccanici, ma mostri preistorici assassini più veri del vero, calati in un ambiente già claustrofobico e spaventoso di suo, come possono esserlo le profondità marine. Un mondo così vicino a noi, eppure così alieno.

D’altronde, tutto era iniziato proprio da dei dinosauri. I’ve created a monster, cantava Eminem nel 2002. Avrebbe potuto canticchiarlo, e a ragione, anche Willis O’Brien, negli anni 20 del secolo scorso, quando ha contribuito a creare, letteralmente con le proprie mani, l’intero filone dei mostri giganti.

Animatore e pioniere degli effetti speciali, Willis O’Brien rese infatti possibili nel remoto 1925 i dinosauri in stop motion de Il mondo perduto (The Lost World). In una di quelle storie talmente strabilianti da sembrare oggi impossibili, i primi a vedere alcuni spezzoni del film furono nel ’22 i maghi della Society of American Magicians. Tra loro c’era anche Harry Houdini. Arthur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes e autore del romanzo da cui fu tratto il film, mostrò loro alcune sequenze di uno scontro tra triceratopi e stegosauri. Il giorno dopo, il New York Times dedicò un’intera pagina alla proiezione, scrivendo che i mostri di Conan Doyle sembravano davvero vivi. “Se sono falsi, sono davvero un capolavoro”.

2 KING KONG 33

Il Mondo Perduto avrebbe portato Willis O’Brien a lavorare, una manciata di anni più tardi, agli effetti speciali di una delle pellicole più celebri di sempre, il King Kong della RKO, nel ’33. Il successo fu tale che ne venne sfornato un seguito nello stesso anno solare, Il figlio di King Kong, riciclando tutto il riciclabile. Perché quei film erano incredibilmente costosi e la RKO non navigava già in buone acque. I film di mostri giganti furono quindi accantonati per qualche anno, salvo poi esser ridestati dalle esplosioni atomiche della seconda guerra mondiale, su entrambe le sponde del Pacifico.

Nel ’53 l’americano Il risveglio del dinosauro (The Beast from 20,000 Fathoms) raccontava di un mostro preistorico riportato in vita dalle radiazioni nucleari – partendo da un racconto di Ray Bradbury e avvalendosi degli effetti speciali di Ray Harryhausen, il più in gamba dei discepoli di Willis O’Brien – e nel ’54 Assalto alla Terra (Them!) si occupava invece dei formiconi giganti trasformati dal test nucleare Trinity del ’45, ad Alamogordo, Nuovo Messico.

3 GODZILLA 1954

Contemporaneamente, Ishirō Honda e la Toho portavano nelle sale giapponesi il primo Godzilla (Gojira), capostipite del genere kaiju, la via nipponica al mostro gigante. Anche Godzilla era una creatura primordiale scomodata dalle bombe all’idrogeno, ma il film incarnava dal punto di vista dei giapponesi l’orrore del nucleare sperimentato sulla propria pelle, al punto che il mostro, oltre a diventare un simbolo pop dell’immaginario prima giapponese, poi mondiale, è diventato una metafora stessa della guerra nucleare.

Il risveglio dei mostri è un filone che a Tokyo, salvo fisiologici periodi di pausa, non smetterà più di tirare. Alla serie di Godzilla (che arriverà a contare 32 pellicole giapponesi, oltre a quelle statunitensi) si affiancano quelle di altri kaiju come la falena gigante Mothra, sempre della Toho, o la tartaruga Gamera

4 PULSAGARI

Altri paesi, nel frattempo, si cimentano con i mostri. I britannici con Gorgo di Eugène Lourié (1961), i danesi con Reptilicus – Il mostro distruggitore (1962) o i sudcoreani con Yongary, Monster from the Deep (1967), coprodotto con la giapponese Toei proprio per far concorrenza ai Godzilla della Toho. Si uniranno alla festa, anni dopo, perfino i cugini del nord, con Pulgasari, film nordcoreano diretto nel 1985 da Shin Sang-ok, povero regista rapito anni prima dalla Forza per Operazioni speciali dell’Armata Popolare Coreana agli ordini di Kim Jong-il (il futuro caro leader) per fargli girare forzatamente dei film per il regime. Il cineasta riuscì a fuggire negli USA con la famiglia proprio poco prima di completare le riprese di Pulgasari (completato, si narra, dal futuro dittatore in persona). Di cosa parla il film? Di un mostro gigante che combatte i corrotti e, quando osa ribellarsi, viene fatto fuori: la metafora di fondo, pure qui, era chiarissima.

Intanto gli statunitensi continuano a sfornare film di mostri giganti per tutti gli anni 50 e 60. Sono le pellicole da drive-in per antonomasia, gli anni d’oro dei figli mostruosi di Ray Harryhausen e dei suoi colleghi. Un caleidoscopio di ragni da coccolone immediato per gli aracnofobi (Tarantola, 1955), lucertoloni venuti dallo spazio (A 30 milioni di km dalla Terra, 1957), polpi radioattivi (Il mostro dei mari – It Came from Beneath the Sea, 1955), mantidi religiose (La mantide omicida – The Deadly Mantis, 1957) e perfino donnoni sexy alti 15 metri come variazione sul genere, con il celebre B-movie Attack of the 50 Foot Woman.

5 KONG VS GODZILLA

Mancava solo il match tra i due mostri che avevano aperto i rispettivi mercati, e arriva a un certo punto pure quello. King Kong vs Godzilla viene prodotto sempre da Toho e girato da Ishirō Honda. Una persistente leggenda metropolitana raccontava che il finale della versione americana fosse diverso, con un trionfo del primate sul lucertolone, ma in realtà il film era praticamente identico anche in Occidente, salvo qualche piccola aggiunta. Certo, non aiutava da noi il fatto che il titolo italiano fosse un fuorviante Il trionfo di King Kong.

Arrivati agli anni 70, l’interesse occidentale per i mostri giganti sembra però essere ormai evaporato. Gli spettatori ne hanno abbastanza di creature colossali che seminano il panico in città. Poche le eccezioni, come il remake di King Kong prodotto nel ’76 da Dino De Laurentiis. Al cinema funzionano ora altri tipi di mostri, più realistici, decisamente più piccoli e inquadrabili nel genere “la natura vuole proprio ucciderti in modi creativi”. Furoreggiano Lo Squalo di Spielberg (1975), Piraña di Joe Dante (1978) e i loro emuli.

6 PACIFIC RIM

Per far tornare in scena nei nostri cinema i mostri alti quanto palazzi, bisognerà aspettare l’ausilio della computer graphic. L’apertura del Jurassic Park del solito Spielberg, il primo Godzilla USA del ’98, e giù fino a Cloverfield, i kaiju di Pacific Rim e l’ennesimo Godzilla nipponico, diretto però stavolta da Hideaki Anno, il creatore di Neon Genesis Evangelion (Shin Godzilla, 2016). Per poi tornare ancora una volta alla rivalità tra il lucertolone e il gorilla gigante: al MonsterVerse di Warner Bros. e Legendary Pictures, che dopo il Godzilla del 2014, Kong: Skull Island del 2017 e il prossimo Godzilla II – King of the Monsters (maggio 2019) con il suo carico di kaiju classici (Mothra, Rodan e King Ghidorah), tornerà a far azzuffare i due in Godzilla vs. Kong. Arriva presto, 2020.

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